domenica 4 novembre 2018

È strano come uno possa pensare di aver trovato finalmente un equilibrio, per poi ritrovarsi a capitombolare per terra. 
È ancora più strano se è un crollo improvviso, una valanga causata dal posarsi di un singolo fiocco di neve. 
Io non l'ho mica capito come si possa stare al mondo e sorridere appena svegli e appena prima di addormentarsi e far finta, anzi vivere una vita in cui tutto vada per il verso giusto. 
E mai come ora son tanto bramoso di imparare, di studiare e di trovare un teorema che mi faccia svegliare felice, ma, soprattutto, addormentare felice. 
A dire il vero, anche solo trovare un modo per addormentarmi sarebbe una svolta. Sono le cinque del mattino e io son ancora qui a fissare il soffitto, a rollarmi l'ennesima sigaretta che si consuma coi miei pensieri e ad ascoltare la pioggia che batte sui marciapiedi milanesi. 
Se tendo bene le orecchie posso sentire le prime sveglie suonare, i papà che si alzano dal letto per prepararsi per andare al lavoro, le mamme che potrebbero dormire ancora un attimo e si rigirano nel letto, i respiri profondi che cullano sogni da bambino e mille e un pensiero che fanno a pugni nella mia testa. 
Io non lo so come si possano raggiungere condizioni di equilibrio stabile.
Io non lo so come si possa smettere di essere il funambolo in bilico su un fil di ferro arrugginito. 
Io non lo so come si possa sistemare ogni ingranaggio che fa funzionare la macchina che ho in mente per poterla far lavorare decentemente, senza incepparsi, senza andare su di giri. 
A scuola non ti danno di certo un manuale per l'uso che ti mostri come far funzionare correttamente la vita e di certo non c'è alcuna laura di scienze della vita, ma vorrei tanto trovare un modo per potermi fermare, rilassare le spalle, tirare un forte sospiro e dire "Eccomi. Qui, ora, saldo su due piedi, con otto ore di sonno per notte e un sorriso per nulla amaro". 

Io non so come si possa stare al mondo e sopratutto non so quale sia il modo per capirlo, ma voglio vivere. 

sabato 6 ottobre 2018

È passato così tanto tempo dall'ultima volta che ci siamo scambiati due sguardi che i tuoi occhi quasi non li ricordo più. 
Il problema che io ho con te è che sì, mi hai alleggerito il cuore, ma quasi non lo riconosco più. 
Che sì, lo hai alleggerito per un po', ma poi lo hai riempito di insicurezze e paranoie che ho dovuto sciacquare via sacrificando un pezzo del loro contenitore. 
Mai capirò il perché del tuo cambiamento, come sia stato possibile passare dall'essere tutto ciò che ho sognato, al divenire ciò che ora temo di ritrovare in una persona. 
Eri pioggia che rinfresca l'anima e, ad un tratto, sei divenuta tornado che mina alle fondamenta di un ego. 
Forse quella purezza era solo una vetrina per attirare folle in cerca dell'acquisto perfetto. Hai presente quando cammini per le vie del centro, fra la folla, i bambini che fanno cadere il gelato, i papà che gettano le sigarette a terra e le mamme che rimproverano gli uni e gli altri per essersi sporcati e per aver sporcato e il tuo sguardo vaga in cerca di luce, vaga fra le pettinature improbabili, le vetrine illuminate e barocche, le guglie, i portici. Poi, sempre il tuo sguardo, si posa sulla vetrina di quel negozio tutto antichità e modernità strane, quel negozio per niente barocco, ma pieno di rarità e trovi l'oggetto della vita? Ecco. 
Poi hai presente quando fai il grande passo per il tuo portafoglio e fai un investimento più azzardato di un all-in nonostante una sola coppia di due di cuori e picche e decidi di comprare quella rarità? 
All'inizio te ne torni a casa tutto fiero e soddisfatto del miglior investimento della tua vita, ma col passare dei giorni capisci che qualcosa non va in quel tuo acquisto e scopri, guardandolo attentamente, che hai venduto l'anima per una imitazione di dubbio gusto. 
È questo il mio problema con te: come si può passare dall'essere il giudizio universale all'essere un quadro di dubbio gusto di qualcuno che è stato respinto dall'accademia delle belle arti? 
Forse il perché non lo voglio nemmeno sapere. 
Mi hai stancato così tanto la mente che ho preferito smettere di cercare una teoria del tutto per spiegare ogni tua singola azione, ogni tuo singolo capriccio e ogni tuo singolo ricatto velato. 
Perché di questo si trattava in fondo. 
Non era più un cresciamo insieme. 
Era diventato tutto un te che resti ferma e io che trascino tutto sulle mie spalle sotto le tue direttive e qualora avessi sbagliato qualcosa, me l'avresti fatta pagare. 
Niente baci, niente abbracci nel letto, niente parole dolci, niente amore e niente sguardi che ci intrecciano le arterie facendo palpitare i cuori all'unisono. 

Di una cosa però vorrei dirti grazie. 
Grazie per avermi svuotato di ogni sicurezza, di ogni briciolo di sanità mentale e di tutta la buona volontà che avevo di aiutare una persona. 
Grazie perché mi hai fatto fare pulizie di primavera e ho potuto rincominciare da zero. Mi sono azzerato e ho ricostruito tutto da capo: i sogni, l'affetto da regalare a qualcuno, la consapevolezza di me stesso e del mio corpo, il mio vero valore e, forse, sono un passo più vicino allo scoprire chi sono. 

Ho fatto riposare il cuore.
E tu? 


lunedì 12 settembre 2016

Sai, ogni tanto ci penso a me, a te, a noi, alle giornate passate assieme, a quelle che vivremo e a come saranno. 
Penso a quando abbiamo fatto l'amore l'ultima volta nel tardo e afoso pomeriggio milanese: noi, le lenzuola sfatte, il sudore, gli sguardi e le carezze, i baci e i colpi di reni, i morsi e i gemiti. 
Penso a come sei quando dormi, che sembri così serena e a come sei appena sveglia, col muso imbronciato che rimani lo stesso bellissima. 
Penso alle nottate perse a pensarti, alle volte che mi son svegliato la notte per cercarti nel letto e che, purtroppo, non ti ho trovata. 
Penso alle tue labbra, al tuo neo così caratteristico. 
Anzi, a entrambi i tuoi nei così caratteristici: quello sul viso, poco più in su del labbro e all'altro un po' più intimo.
Penso alle storie sulla tua pelle fatte di inchiostro nero e rosso che ho potuto toccare con mano. 
Penso a che ne sarà di noi domani, fra un mese, un anno. 
Penso a quanto sia stato fortunato a trovarti nella smisuratezza di internet. 
Milioni di utenti e poi, eccoti, lì: puff. 
Penso alle parole che non ti ho mai detto, ma che prima o poi ti dirò. 
A quelle che ti ho detto senza pensarci due volte, che magari me ne sono subito pentito. 
Penso a quella volta che abbiamo litigato, ma che subito dopo ci siam ritrovati in un sol corpo. Un nodo di braccia, gambe, morsi, unghie, sudore, gemiti, cazzo e figa, perdona la volgarità, io dentro di te, tu, in qualche modo, dentro me. 
I tuoi capelli profumati, i tuoi occhi bellissimi e le tue curve. Dio solo sa quanto mi facciano impazzire le tue curve. 
La tua cazzo di fissazione per Sociologi conosciuti solo per aver inventato un termine. 
Penso a tutto questo e dico che sono fortunato che una come te non l'avrei trovata neanche se avessi potuto costruire io stesso una persona. 
A me. 
A te.
A noi.

lunedì 22 agosto 2016

"Tutti i problemi sono pregati di scendere alla prossima fermata"

Inizio   a   chiedermi   se   effettivamente   io   non   sia   una   calamita   per   i 
problemi.
Non sto chiedendo se io sia il problema, ma se li faccia gravitare attorno 
a me.
Lasciatemi spiegare.
Funziona,   più   o   meno,   così:   conosco   qualcuno,   ci   instauro   un   rapporto, 
indipendentemente   da   quale   tipo   possa   essere,   sembra   andare   tutto   bene, 
risa,   bei   momenti,   ricordi   in   via   di   sviluppo,   un   po'   come   i   cantieri 
infiniti nelle periferie milanesi, poi, ad un tratto, eccolo: il problema.
“IL” nel migliore dei casi, la maggior parte delle sono I PROBLEMI.
E lo scrivo pure in maiuscolo per farvelo scandire bene nelle vostre menti 
e per marchiarle a fondo con quelle due parole.
Sembra sia diventato inevitabile, una sorta di affermazione della legge dei 
grandi numeri: col passare del tempo, che tu lo voglia o no, se è probabile 
che qualcosa accada, ti accadrà e più alta è la probabilità che accada, più 
volte ti accadrà.
Bene,   la   cosa   che   deve   accadere   a   me,   evidentemente,   è   l'arrivo   dei 
problemi. 
Io  me li immagino,  lì,  in fila  alla pensilina  del  tram,  ad aspettare  di 
salirci sopra e scendere alla fermata giusta.
Prossima fermata: vita di Itam”.
Il tram pieno, i problemi ammassati.
Si spingono, si urtano, ogni curva li fa oscillare come un pendolo, destra 
sinistra destra sinistra.
Fermata: vita di Itam”.
E il tram si svuota.
Che poi, che vogliano da me, manco loro lo sanno, eppure eccoci qua.
Un bel raduno: io e i mille problemi che le altre persone mi fan scivolare 
in testa.
Lo vedete? Lui è il problema di tizia che ha litigato con tizio e che poi 
ha rifilato a me.
Lui invece è di quella volta che l'ex l'ha tradito.
Lei invece è la puttana di malattia che ha colpito la testa di cosa, mentre 
l'altra   è   sua   sorella,   sempre   mignotta,   che   ha   colpito   il   colon   di 
quell'altra.
Insomma,   son   tanti,   diversi,   un   po'   infami,   un   po'   zoccole,   un   po'   per 
tutti i gusti, come si suol dire.
Potrei farci un annuncio su internet.
AAA CEDESI PROBLEMI AL MIGLIOR OFFERNTE: PROBLEMI DI QUALITÀ, IN QUANTITÀ E A PREZZO STRACCIATO. 
DIFFIDETE DALLE IMITAZIONI. 
POSSIBILITÀ DI COMPRARLI IN GROSSE QUANTITÀ PER ULTERIORE RIBASSO”.
Sia mai che qualcuno li voglia, chissà.
Che poi, basterebbe poco per evitarli, insomma, un po' di sincerità qui, 
più   bontà   là,   un   pizzico   di   amor   proprio   ed   è   fatta,   non   mi   sembra 
complicato.
O almeno basterebbe tenerli per sé.
Io stesso ne sforno di nuovi, belli e grossi, ma almeno cerco di limitarli 
alla mia vita senza intaccare quella di nessun altro.
Basta poco per non infastidire gli altri e travolgerli con orde di problemi 
sudati, nervosi e infastiditi.
Basta poco.
Eppure rieccoci qui. 
Io, me, i miei problemi, i vostri e i loro.

lunedì 6 luglio 2015

Prologo.

L'aria sembrava mancasse, eppure ci soffocava, ci stringeva la gola come se avesse mani per strozzarci, sembrando una morsa d'acciaio.
Il vento, quello c'era, soffiava leggero, portando con se granelli di sabbia che si infrangevano sulla nostra pelle, mentre quest'ultima era inumidita dal sudore e sporcata dal sangue e rifletteva sotto la luce del sole.
L'impatto al suolo era stato violento, da strapparti le viscere, un atterraggio d'emergenza.
Io e Tom eravamo saliti di foga su un aereo per rifugiarci in Oriente. Avevamo preso uno di quegli aerei da vista panoramica, con l'elica d'avanti,faceva molto anni del dopo guerra.
Eravamo riusciti ad attraversare l'oceano con successo, successivamente anche il Nord Africa e gran parte del Medio Oriente. Stavamo sorvolando l'ultimo tratto di terre arabe, quando dal motore uscì del fumo e il quadrante impazzì. Gli svariati led lampeggiarono ad intermittenza, facendo sembrare il pannello di controllo un Albero di Natale, probabilmente l'ultimo che avremmo visto.
Tom, che a differenza mia aveva conservato un po' di lucidità, riuscì a tenere sotto il suo controllo l'aereo, facendolo così abbassare di quota: lo schianto non fu violento come mi aspettassi. Non che fosse stato un atterraggio morbido, ma, almeno, riuscì a salvarci la pelle, anche se quest'ultima si lacerò parecchio: l'impatto fu, nonostante tutto, brutale.
I pezzi dell'aereo, che erano stati disarcionati durante l'impatto, infuocati, si sparsero per il deserto, rovinano quel soffice e puro tappeto di sabbia modellato dal vento, lo stesso che poi alimentò le fiamme che avvolgevano il motore. Facemmo in tempo a strisciar fori dall'aereo, indolenziti e disorientati, che questo fu avvolto totalmente dalle fiamme e saltò in aria. L'onda d'urto ci si schiantò addosso, trascinandoci lungo il suo cammino assieme alla sabbia e alle varie lamine d'acciaio. Una scheggia, grossa quanto la lama di un coltello, si conficcò nella coscia di Tom. Era zoppo. L'unica sua, pure mia, salvezza ero io.
Ma come avrei potuto aiutarlo se io stesso necessitavo di un salvatore, di un qualche angelo custode che mi portasse in salvo il culo?
Non so ancora bene come ci riuscii, ma raccolsi le mie forze e mi caricai Tom, ancora cosciente, ma agognante, in spalla.
Mi ritrovai a camminare nel bel mezzo del deserto, con un uomo, il mio migliore amico, in spalla, senza una meta, con una sola borraccia d'acqua scampata all'esplosione, recuperata velocemente fra le fiamme di quell'inferno.
Il sole stava calando lentamente alle nostre spalle, segno che ci stavamo dirigendo nella direzione esatta : l'oriente. L'aria si stava facendo più respirabile, più fresca, meno infernale. La sua stretta mortale, che ci opprimeva la gola, si stava allentando, quasi svanendo. Assieme a noi, stava iniziando a respirare pure la pelle, mentre luccicava colpita dai raggi del sole, che avevano colorato il cielo di arancio e rosso sangue. 
Feci scivolare Tom dalla mia spalla alla sabbia, fece un lamento. Le ginocchia mi cedettero, ero ormai allo stremo, senza più forze. Le gambe si erano fatte pesanti: due macigni che mi stavo trascinando da ore, sotto il sole cuocente del deserto, senza sosta, che avevano sorretto me e il mio compagno. Mi lasciai cadere a terra, emettendo uno sbuffo, una via di mezzo fra un lamento e un sospiro di sollievo.
Avrei voluto solamente sdraiarmi e lasciarmi cullare da quelle dune, che stavano rilasciando tutto il calore accumulato durante il giorno, in un sonno eterno. Ma non potevo. Non ora che il mio collega aveva bisogno del mio aiuto. 
Ci sono qui io, Tom. Non ti lascio solo. Non ti lascerò morire. Almeno non ora, non dopo tutto quello che abbiamo passato assieme. 
Te lo ricordi il primo giorno di addestramento? Ero così esile e tu eri il doppi, se non il triplo, di me.
Era scontato che tu ce l'avresti fatta e io no. Eppure eccoci qui: io, il caposquadra, Comandante del Battaglione 32 – reparto speciale, e te, la mia spalla, quello che mi copre le spalle, pronto a dar la vita per me, sempre all'erta ed io pronto a dare la mia vita per proteggere la tua.
Ma come ci siamo cacciati in questo guaio? Come ci siamo cacciati fra queste dune, in questo inferno?
Perché siamo sempre stati quelli con le idee giuste e umane e democratiche e non abbiamo eseguito gli ordini come tutti gli altri? Perché non abbiamo avuto lo stesso patriottismo dei nostri, ormai ex, compagni?
Adesso saremmo ancora lì, a casa, con le nostre ragazze, la nostra famiglia ed ogni tanto saremmo a fare qualche missione di ricognizione o di spionaggio. È vero, saremmo sotto una dittatura o qualcosa di simile, ma almeno non saremmo avvolti dalle lingue infuocate degli inferi.
Mi avvicinai a lui, strisciando e lasciando solchi sulla sabbia. Gli misi una mano sulla gamba. Inarcò all'istante la schiena per il dolore ed emise un suono strozzato, che gli si era bloccato in gola, assieme ai conati di vomito causati dal dolore. La ferita andava pulita e fasciata, si stava infettando. 
Mi sedetti affianco a lui ed estrassi il coltello dalla fondina. Gli tagliai il pantaloni poco più in alto della ferita e gli sfilai via quel lembo di tessuto. La ferita era sporca di sangue secco e sabbia e sudore. Presi la borraccia, svitai il tappo e, poco prima di versargli l'acqua, sussurrai lui: « Sta' calmo, Tom. Sono io, il tuo compagno. Ora sentirai bruciare, ma stai tranquillo, poi starai meglio.».
Cercai di usare la più piccola quantità di acqua possibile, il giusto per levargli la sabbia e il sangue. 
Sentii che prima spalancò la bocca e risucchiò l'aria, poi strinse i denti, fregavano l'uno sopra l'altro. Mi venne un brivido che percorse tutta la schiena. Strinse i pugni e se li portò alla fronte. Gli occhi chiusi, serrati. Il corpo si era irrigidito. Se gli avessi percorso il corpo con la mia mano, avrei sentito ogni muscolo contratto, in tensione, gonfio di sangue.
La sabbia sulla ferita era stata portata via dalle poche gocce d'acqua. La ferita sembrava pulita. Era fottutamente profonda e riuscivo a vedere la scheggia di ferro che si faceva spazio fra le fibre del suo muscolo, lacerandole. 
Strinsi l'elsa del pugnale. Le nocche mi divennero bianche e la mano tremava in modo impercettbile. Avrei dovuto estrarla senza peggiorare le condizioni della ferita. Rilassai la mano e rilasciai tutta l'aria incamerata nei polmoni. Avvicinai lentamente il coltello alla ferita, che faceva gocciolare lentamente del sangue, questa volta fresco, rosso vivo, luccicante. Entrai con la punta, sentii il contatto fra i metalli. Misi una mano sul bacino a Tom, per rassicurarlo e per tenerlo a terra. Feci leva. Le gocce di sangue si fecero più copiose. Gli percossero la coscia e finirono sulla sabbia. Il sangue cadeva lentamente, sollevando qualche grammo di sabbia e macchiando il tappeto di sali che ricopriva il suolo . Aveva disegnato una linea ondulata, tremolante, sulla sua gamba e una macchia, imprecisa e disordinata, sulla sabbia. Riuscii finalmente a estrarre la scheggia e percepii che Tom si era rilassato.
Misi il coltello via e strappai un pezzo di stoffa dalla parte dei pantaloni che gli avevo tolto precedentemente. Cercai di fasciargli al meglio la ferita.
Nonostante il caldo si fosse attenuato, sentivo i segni della sete incombere. Mi bagnai appena le labbra e feci fare altrettanto a Tom. Avevamo già usato troppa acqua per medicargli la ferita. Non avremmo dovuto sprecare nemmeno un'altra goccia. Anche perché non ne avremmo potuto trovare altra in mezzo a quel girone infernale fatto di sole e caldo, di sabbia e dune, di fame e sete.
Così rimasi seduto affianco a lui, mentre si stava addormentando.
Iniziai a vegliare sul suo sonno, a cercare di proteggerlo da qualsiasi cosa si fosse avvicinata o fosse successa. 
Il cielo si era ormai macchiato di puntini luminosi, splendenti. Luccicavano come cristalli in una grotta oscura. La luna era la signora del deserto quella notte. Lo guardava dell'alto, gli rifletteva addosso la sua luce biancastra, argentea, colorando ogni granello. Le altre stelle fecero lo stesso. 
Alzai gli occhi al cielo e le cercai, le stelle. 
Avevo bisogno di qualcuno e loro erano le uniche che potessero tenermi compagnia e vegliare su Tom.

venerdì 26 giugno 2015

Vita.

La vita è il più bel viaggio che farai.
Conoscerai persone, imparerai ad amarle, ad odiarle, a portarle nel cuore, nella mente, a dimenticarle. Imparerai a fidarti di loro, a lasciarti andare, ad essere diffidente.
Scoprirai luoghi, li farai tuoi, diventeranno la tua casa, il tuo rifugio. Li schiferai, li disprezzerai.
Proverai emozioni nuove, sconosciute, ben volute o temute. Ti modelleranno e tu modellerai loro. Ti innalzeranno e ti schiacceranno.
Crescerai, sarai forte, la più forte.
Crescerai, sarai debole, la più debole.
Tutto ciò sarà tuo. Tu sarai tutto ciò.
Il mondo è tuo e tu sarai il tuo mondo.
La vita è tua, combatti e tientela stretta.
Tu sei vita.

domenica 22 febbraio 2015

Manie, difficoltà, ambiguità.

Devo dire che proprio non me la sarei aspettata una mail.
Avrei voluto scriverti una lettera per ringraziarti per gli auguri, invece mi sento costretto a scriverti subito. 
Manie.
Il senso non l'ho molto capito, sai? Sarà che un'intera giornata in biblioteca mi ha spossato un po'. Sai, le onde elettromagnetiche mi penetrano in testa e mi fanno fondere il cervello. 
Difficoltà.
Te l'avevo detto che avresti avuto molto da scoprire per quanto riguarda la persona che sono o che ero. Non riesco nemmeno a capire se e come son cambiato nel tempo. 
Ancora difficoltà.
Comunque quel blog è più me di quanto non lo sia io stesso. Ho cercato di immortalare ogni mia parte significativa fra quei post, quelle righe, quelle parole. 
Io sono tutte quelle parole e le parole, dunque, sono me. Mi riflettono la mia persona meglio di quanto non faccia uno specchio. Sono tutto ciò che ho. Sono ciò che sono, che ero e che sarò.
Ogni tanto mi sento messo a nudo quando qualcuno le legge. Figuratamente, si intende. Anche perché se fosse nel senso letterario della parola, non avrei problemi. 
Assenza di pudore.
Non sono tanto i tuoi sbagli, bensì la mia persona. È un casino, te l'ho detto. 
E di certo tutto quel casino non aiuta il mio limite di pazienza, che si sta abbassando sempre più. Senza contare che la ricerca di stimoli va sempre peggio, ma oggi, dopo aver mangiato cinese, ho aperto un biscotto della fortuna: qualcosa darà una svolta alla tua vita. Non so se fosse proprio così, ma il senso è quello.
Speranza.
Non aggrapparti troppo a quelle parole, non ti farà certo del bene.
Spero tu possa scusarmi per ogni volta che ti faccio barcollare tra cielo e abisso, ma sono ambiguo, si sa.
Ambiguità.
Ora vado, un abbraccio.
 
                         Tuo, ma non tuo, Itam.