lunedì 6 luglio 2015

Prologo.

L'aria sembrava mancasse, eppure ci soffocava, ci stringeva la gola come se avesse mani per strozzarci, sembrando una morsa d'acciaio.
Il vento, quello c'era, soffiava leggero, portando con se granelli di sabbia che si infrangevano sulla nostra pelle, mentre quest'ultima era inumidita dal sudore e sporcata dal sangue e rifletteva sotto la luce del sole.
L'impatto al suolo era stato violento, da strapparti le viscere, un atterraggio d'emergenza.
Io e Tom eravamo saliti di foga su un aereo per rifugiarci in Oriente. Avevamo preso uno di quegli aerei da vista panoramica, con l'elica d'avanti,faceva molto anni del dopo guerra.
Eravamo riusciti ad attraversare l'oceano con successo, successivamente anche il Nord Africa e gran parte del Medio Oriente. Stavamo sorvolando l'ultimo tratto di terre arabe, quando dal motore uscì del fumo e il quadrante impazzì. Gli svariati led lampeggiarono ad intermittenza, facendo sembrare il pannello di controllo un Albero di Natale, probabilmente l'ultimo che avremmo visto.
Tom, che a differenza mia aveva conservato un po' di lucidità, riuscì a tenere sotto il suo controllo l'aereo, facendolo così abbassare di quota: lo schianto non fu violento come mi aspettassi. Non che fosse stato un atterraggio morbido, ma, almeno, riuscì a salvarci la pelle, anche se quest'ultima si lacerò parecchio: l'impatto fu, nonostante tutto, brutale.
I pezzi dell'aereo, che erano stati disarcionati durante l'impatto, infuocati, si sparsero per il deserto, rovinano quel soffice e puro tappeto di sabbia modellato dal vento, lo stesso che poi alimentò le fiamme che avvolgevano il motore. Facemmo in tempo a strisciar fori dall'aereo, indolenziti e disorientati, che questo fu avvolto totalmente dalle fiamme e saltò in aria. L'onda d'urto ci si schiantò addosso, trascinandoci lungo il suo cammino assieme alla sabbia e alle varie lamine d'acciaio. Una scheggia, grossa quanto la lama di un coltello, si conficcò nella coscia di Tom. Era zoppo. L'unica sua, pure mia, salvezza ero io.
Ma come avrei potuto aiutarlo se io stesso necessitavo di un salvatore, di un qualche angelo custode che mi portasse in salvo il culo?
Non so ancora bene come ci riuscii, ma raccolsi le mie forze e mi caricai Tom, ancora cosciente, ma agognante, in spalla.
Mi ritrovai a camminare nel bel mezzo del deserto, con un uomo, il mio migliore amico, in spalla, senza una meta, con una sola borraccia d'acqua scampata all'esplosione, recuperata velocemente fra le fiamme di quell'inferno.
Il sole stava calando lentamente alle nostre spalle, segno che ci stavamo dirigendo nella direzione esatta : l'oriente. L'aria si stava facendo più respirabile, più fresca, meno infernale. La sua stretta mortale, che ci opprimeva la gola, si stava allentando, quasi svanendo. Assieme a noi, stava iniziando a respirare pure la pelle, mentre luccicava colpita dai raggi del sole, che avevano colorato il cielo di arancio e rosso sangue. 
Feci scivolare Tom dalla mia spalla alla sabbia, fece un lamento. Le ginocchia mi cedettero, ero ormai allo stremo, senza più forze. Le gambe si erano fatte pesanti: due macigni che mi stavo trascinando da ore, sotto il sole cuocente del deserto, senza sosta, che avevano sorretto me e il mio compagno. Mi lasciai cadere a terra, emettendo uno sbuffo, una via di mezzo fra un lamento e un sospiro di sollievo.
Avrei voluto solamente sdraiarmi e lasciarmi cullare da quelle dune, che stavano rilasciando tutto il calore accumulato durante il giorno, in un sonno eterno. Ma non potevo. Non ora che il mio collega aveva bisogno del mio aiuto. 
Ci sono qui io, Tom. Non ti lascio solo. Non ti lascerò morire. Almeno non ora, non dopo tutto quello che abbiamo passato assieme. 
Te lo ricordi il primo giorno di addestramento? Ero così esile e tu eri il doppi, se non il triplo, di me.
Era scontato che tu ce l'avresti fatta e io no. Eppure eccoci qui: io, il caposquadra, Comandante del Battaglione 32 – reparto speciale, e te, la mia spalla, quello che mi copre le spalle, pronto a dar la vita per me, sempre all'erta ed io pronto a dare la mia vita per proteggere la tua.
Ma come ci siamo cacciati in questo guaio? Come ci siamo cacciati fra queste dune, in questo inferno?
Perché siamo sempre stati quelli con le idee giuste e umane e democratiche e non abbiamo eseguito gli ordini come tutti gli altri? Perché non abbiamo avuto lo stesso patriottismo dei nostri, ormai ex, compagni?
Adesso saremmo ancora lì, a casa, con le nostre ragazze, la nostra famiglia ed ogni tanto saremmo a fare qualche missione di ricognizione o di spionaggio. È vero, saremmo sotto una dittatura o qualcosa di simile, ma almeno non saremmo avvolti dalle lingue infuocate degli inferi.
Mi avvicinai a lui, strisciando e lasciando solchi sulla sabbia. Gli misi una mano sulla gamba. Inarcò all'istante la schiena per il dolore ed emise un suono strozzato, che gli si era bloccato in gola, assieme ai conati di vomito causati dal dolore. La ferita andava pulita e fasciata, si stava infettando. 
Mi sedetti affianco a lui ed estrassi il coltello dalla fondina. Gli tagliai il pantaloni poco più in alto della ferita e gli sfilai via quel lembo di tessuto. La ferita era sporca di sangue secco e sabbia e sudore. Presi la borraccia, svitai il tappo e, poco prima di versargli l'acqua, sussurrai lui: « Sta' calmo, Tom. Sono io, il tuo compagno. Ora sentirai bruciare, ma stai tranquillo, poi starai meglio.».
Cercai di usare la più piccola quantità di acqua possibile, il giusto per levargli la sabbia e il sangue. 
Sentii che prima spalancò la bocca e risucchiò l'aria, poi strinse i denti, fregavano l'uno sopra l'altro. Mi venne un brivido che percorse tutta la schiena. Strinse i pugni e se li portò alla fronte. Gli occhi chiusi, serrati. Il corpo si era irrigidito. Se gli avessi percorso il corpo con la mia mano, avrei sentito ogni muscolo contratto, in tensione, gonfio di sangue.
La sabbia sulla ferita era stata portata via dalle poche gocce d'acqua. La ferita sembrava pulita. Era fottutamente profonda e riuscivo a vedere la scheggia di ferro che si faceva spazio fra le fibre del suo muscolo, lacerandole. 
Strinsi l'elsa del pugnale. Le nocche mi divennero bianche e la mano tremava in modo impercettbile. Avrei dovuto estrarla senza peggiorare le condizioni della ferita. Rilassai la mano e rilasciai tutta l'aria incamerata nei polmoni. Avvicinai lentamente il coltello alla ferita, che faceva gocciolare lentamente del sangue, questa volta fresco, rosso vivo, luccicante. Entrai con la punta, sentii il contatto fra i metalli. Misi una mano sul bacino a Tom, per rassicurarlo e per tenerlo a terra. Feci leva. Le gocce di sangue si fecero più copiose. Gli percossero la coscia e finirono sulla sabbia. Il sangue cadeva lentamente, sollevando qualche grammo di sabbia e macchiando il tappeto di sali che ricopriva il suolo . Aveva disegnato una linea ondulata, tremolante, sulla sua gamba e una macchia, imprecisa e disordinata, sulla sabbia. Riuscii finalmente a estrarre la scheggia e percepii che Tom si era rilassato.
Misi il coltello via e strappai un pezzo di stoffa dalla parte dei pantaloni che gli avevo tolto precedentemente. Cercai di fasciargli al meglio la ferita.
Nonostante il caldo si fosse attenuato, sentivo i segni della sete incombere. Mi bagnai appena le labbra e feci fare altrettanto a Tom. Avevamo già usato troppa acqua per medicargli la ferita. Non avremmo dovuto sprecare nemmeno un'altra goccia. Anche perché non ne avremmo potuto trovare altra in mezzo a quel girone infernale fatto di sole e caldo, di sabbia e dune, di fame e sete.
Così rimasi seduto affianco a lui, mentre si stava addormentando.
Iniziai a vegliare sul suo sonno, a cercare di proteggerlo da qualsiasi cosa si fosse avvicinata o fosse successa. 
Il cielo si era ormai macchiato di puntini luminosi, splendenti. Luccicavano come cristalli in una grotta oscura. La luna era la signora del deserto quella notte. Lo guardava dell'alto, gli rifletteva addosso la sua luce biancastra, argentea, colorando ogni granello. Le altre stelle fecero lo stesso. 
Alzai gli occhi al cielo e le cercai, le stelle. 
Avevo bisogno di qualcuno e loro erano le uniche che potessero tenermi compagnia e vegliare su Tom.